Giuseppe Culicchia a proposito di "Cerniera lampo"

"Un romanzo che fa sorridere e riflettere"

Gianluca Morozzi a proposito di "Tutto quell'amore disperso"

"Un perfetto, equilibrato mix di musica di classe e donne complicate"

Renato Minore a proposito di "Se avessi previsto tutto questo"

"Una storia di forte identificazione in cui c’è sempre una partenza da affrontare, uno sradicamento nuovo che è ormai la condizione coscenziale di un’intera generazione."

venerdì 29 novembre 2013

QUELLO CHE HANNO SCRITTO SUI MIEI LIBRI

IL GRANDE CHIHUAHUA


"Un testo pungente, sfacciato, provocatorio, politicamente scorretto. Con divertita impudenza i due autori liberano una scrittura colta, densa, di pregnante ritmo narrativo. Tutto si fa metafora di una contemporaneità vacua, standardizzata, meschina, disumanizzata, che la violenza (altrettanto anonima) tenta di cancellare. Caricatura dell’eroe negativo, il protagonista fa tutt’uno con la noia che muove i suoi sfoghi malsani.
Gaetano Platania, "Amedit"

"È una storia semplice quella che leggerete, senza morale e saggi insegnamenti, ma vi farà divertire come pochi libri sanno fare. Al centro di tutto sono raccontate le peripezie di un personaggio assurdo che nonostante la sua stravaganza e immoralità ruba il cuore del lettore, il quale pagina dopo pagina si fa trasportare da questo vortice di immagini e “flussi di coscienza."
Claudia Sermarini, "Excursus" n. 87, novembre-dicembre 2017

"Un po’ Zeno (ma senza la sua ironia) e un po’ Bateman (ma senza i suoi piccioli), il giovine, malmostoso universitario protagonista de Il grande Chihuahua non si fa certo volere bene, di sicuro non come il duo Raimondi-Schittino e il loro monologo interiore. La voce degli autori, infatti, sostiene l’opera con brio e con coerenza, raccontandoci un campionario di efferatezze, meschinerie e filosofeggiamenti iper-adolescenziali fino al lirismo delle ultime, bellissime pagine, le migliori del libro, a mio modesto avviso."
Angelo Orlando Meloni, "Senzaudio", novembre 2017

"Il grande chihuahua può essere definito un romanzo di genere thriller/noir, ma soprattutto grottesco, scritto con una grande vena di ironia ed autoironia che va percepita ed interpretata come tale fino alla fine. Una narrazione dotata di grande ritmo, mai banale e mai stancante, che descrive nei dettagli eventi e pensieri più impensabili; un omaggio alla società odierna e alle tante aspettative future di un popolo alla deriva. Una parodia scritta con senso dell’umorismo e grande sensibilità. Da leggere senza battere ciglio in attesa del gran finale che colma tutte le anime."
Maggie Van Der Toorn, rubrica "Ex libris", "Ultima voce"

"Il romanzo, secondo noi, scorre piuttosto bene, tra assurdità adolescenziali, citazioni musicali e letterarie; e non annoia proprio perché, incalzando la curiosità del lettore, la presenza di questa Carmen F. preannuncia un ritorno ad atmosfere più umoristiche e soprattutto ad una svolta inattesa e ad una rottura rispetto l’ordinario uccidere di serial killer solitario. A ben vedere che Luca Raimondi e Joe Schittino abbiano voluto proporre uno stile parzialmente diverso, più ambizioso rispetto “Cerniera lampo”, ma alla fin fine senza abbandonare lo spirito che ha caratterizzato la loro opera d’esordio, in realtà lo si può sospettare fin dall’inizio. Per questo motivo le citazioni inserite a premessa del romanzo forse è il caso di leggerle alla fine."
Luca Menichetti, "Lankenauta"

"Il Grande Chihuahua è un romanzo color arancia meccanica, intriso di nausea sartriana e cenni filosofici da Abbagnano. E' scorretto, violento, eccessivo, sin troppo, fino a che il lettore non arriva a capirne le ragioni sul finale.
Consigliato? Senz'altro."
Marta Banditelli, "Latestata.info"



TUTTO QUELL'AMORE DISPERSO


"Mi sono sempre piaciuti, mi piacciono, sempre mi piaceranno i romanzi che mescolano in modo sapiente donne indimenticabili e citazioni musicali.
In questo romanzo, ad esempio, il protagonista trova qualcosa di un personaggio femminile in un disco dei CCCP dal romantico titolo Epica Etica Etnica Pathos. Mi sembra già parecchio significativo, come accostamento.
E poi, in questo romanzo, c’è una ragazza che vuole riuscire a sedurre ogni forma di vita organica, ragazzi, ragazze, cani, gatti. Una che non si accontenta di sentirsi dire “ti amo”, no: vuole che quelle due parole vengano accompagnate dalla rinuncia contemporanea a un’altra ragazza.
Un perfetto, equilibrato mix di musica di classe e donne complicate.
La migliore combinazione del mondo, dopo vodka e martini."
Gianluca Morozzi, dalla prefazione al volume

"Luca Raimondi va alla scoperta di una generazione all’alba della crisi. L’atteggiamento numero uno è l’ironia, non senza una certa fede nel domani. Questo romanzo è uno spasso: intrattiene, diverte e solleva un sacco di domande: chi siamo? cosa ne è stato di quel che volevamo essere?" 
Marina Bisogno, "Satisfiction"

"Tutto quell’amore disperso” è l’ultimo libro di Luca Raimondi. Un giovane scrittore che si cimenta con passione nella materia letteraria. Che si sporca le mani. Potrei dire che “Tutto quell’amore disperso” è un libro perfetto, ma non lo dirò. Io credo che Luca possa fare ancora molto. Il che non significa che questo libro non è bello o non è ben scritto. Anzi. La mia antipatia nei confronti di Carlo ne è la riprova. Ha creato un personaggio credibile, se avesse creato una macchietta non ce l’avrei così tanto con lui (Carlo). Eppure sento che sotto il motore ci sono cavalli in più che Luca non ha ancora sfruttato. Io vi dico: leggete “Tutto quell’amore disperso” e ditemi cosa ne pensate. Vi dico: fate un tuffo nel passato e ritornate agli anni in cui tutto sembrava di vitale importanza. Luca vi sta portando lì.
Gianluigi Bodi, "Senzaudio"

Cosa te ne fai di tutto quell’amore disperso? È la domanda che sembra farsi il protagonista del nuovo romanzo di Luca Raimondi. Carlo Piras l’avevamo incontrato anche in Se avessi previsto tutto questo, il rappresentante di una generazione cresciuta con la musica dei Verve, quella degli anni Novanta. Le turbe però sono sempre le stesse e Raimondi le descrive molto bene attraverso le parole del suo protagonista. Nessun filtro a parole e pensieri. Carlo non conosce ancora bene la differenza tra sesso e amore. Se c’è. Poi ci sono Sophia e Nathalie, che sembrano tanto il diavolo e l’acqua santa. Due tentazioni per l’indeciso Carlo, che rappresenta perfettamente il turbamento di un (quasi) uomo in un periodo storico in cui la sfacciataggine femminile sta iniziando a farsi vedere e le donne iniziano a comportarsi proprio come gli uomini. Difficile non identificarsi in Carlo, Edoardo, Sophie o Natalie. E la reazione del lettore, quello che negli anni Novanta ci ha sguazzato, non può essere che un sorriso: a volte amaro, a volte bonario, ma sicuramente pieno di vecchi ricordi. Un sorriso che sembra dire: “I Verve, bella storia”. 
Serena Calabrò, "Mangialibri"

Il romanzo è dichiaratamente autobiografico (per quanto la letteratura trasfiguri la vita sostituendosi sovente ad essa): “Ritornare con la mente su sentimenti vissuti tempo addietro, afferma Raimondi, ci fa capire il motivo di scelte che forse oggi non faremmo più. Andare alla scoperta di pezzi lontani, dimenticati della propria storia, significa conoscerci di più; cercare di comprendere strutture che ci sembravano senza forma, senza equilibrio, o senza coerenza; dare risposte a vecchie domande. Per questo, l’autobiografia è una forma di auto-formazione permanente”.
La solitudine di Carlo non è però individuale: vi si riconosce in essa un’intera generazione di giovani, eredi dell’impegno politico e civile degli anarcoidi padri sessantottini, affetti da quel che Massimo Recalcati definisce il complesso di Telemaco. Alla musica psichedelica, allucinata, ribelle della contestazione del ’68 si sostituisce quella degli anni ’90, colonna sonora dell’adolescenza di Carlo. Cosa rimane di tutto l’amore disperso? A fornire una spiegazione dei rimpianti che affiorano nelle parole dello scrittore interviene Damico “Il rimpianto è la presa di coscienza della nostra più profonda umanità e la liberazione dalla prigionia di quella fisiologica tendenza a cristallizzarci una soffocante rete di schemi fissi che alimentano la nostra sofferenza”. A chi dubitasse della necessità di assecondare l’urgenza impellente del nostro tempo di comunicare, di esplorare e di esplorarsi, di dare sfogo alla tristezza e una forma alla vita attraverso la scrittura, parafrasando lo scrittore Javier Marias, ricordiamo che esiste un’enorme zona d’ombra, in cui solo la letteratura è in grado di penetrare, non per illuminarla o rischiararla, ma per percepirne l’immensità e la complessità. La letteratura ci consente di comprendere un po’ meglio noi stessi e il mondo, che finiscono comunque per coincidere. E forse per questo ogni vita è degna di un romanzo.
Anna Di Carlo, Nuovosud.it

L’autore ci porta nel mondo degli universitari. Siamo in Sicilia, tra Siracusa e Catania.  Un gruppo di amici alle prese con discussioni filosofiche che spesso, non sono in grado di sostenere.  Altrettanto spesso parlano del nulla, giocano con gli sguardi, ammiccano e se ne vanno, ognuno per la propria strada; fra loro pochi sono i segreti ed è facile lo sfottò, doloroso ma inevitabile.  
E l’amore? Questo concetto così oscuro?
Non sanno esattamente come interpretarlo e lo confondono con l’attrazione fisica e con il sesso. Sono superficiali e facili ad infatuarsi. Sono insoddisfatti e insicuri quando vengono delusi.  Si arrabbiano facilmente e sono capaci di provare una rabbia cieca davanti alla gelosia. Vedono il sesso come atto fisico liberatorio e non come prova d’amore. Sono immaturi, fantasiosi, ma mancano di concretezza e di costanza.
Luca Raimondi scrive bene, utilizzando un linguaggio chiaro e attuale.
Ogni capitolo è accompagnato da un brano musicale, già nel titolo.  Ottima idea.
Tanto materiale volto alla ricerca di noi stessi, a quell’età."
Federica Belleri, "Strada leggendo"

"(...)Luca Raimondi apre il suo cuore e con "Tutto quell’amore disperso" ci dona una storia semplice ma non scontata. Chi ha detto che le cose semplici non possono prendere una piega imprevista? Si chiama vita… Un amore complicato, una società che muta pelle come un serpente, senza preavviso, un repentino contropiede del cuore che, purtroppo, può portarci alla più sonora delle sconfitte. 
Una storia che è un po’ diario, un po’ sfogo e un po’… qualcosa che vi colpirà, ve lo garantisco. Un libro da leggere sottovoce, senza pregiudizi o richieste, un amico che vi parlerà senza bisogno di avere nulla in cambio, soltanto un po’ della vostra attenzione. 
E un sorriso si dipingerà sul vostro volto…"
Roberto Baldini, "Sololibri"

"Il romanzo suscita freschezza di idee, originalità. È la storia di Carlo Piras, studente disturbato da un senso di inadeguatezza esistenziale. Che si manifesta nelle relazioni interpersonali. Con le donne non la spunta, con gli uomini nemmeno. Una storia d’amore travagliata. Sbrindellata, difficile da ricomporre. Certamente una storia di universitari, aspiranti filosofi, alle prese con le incertezze del proprio avvenire." 
Alessandro Mascia, “Webmarte” 

"Carlo di fatto è metafora della sua generazione, della generazione dei ventenni di fine millennio, aspiranti filosofi, ragazzi complicati, rockettari per hobby, attori teatrali dilettanti, cinefili impegnati in cortometraggi pretenziosi, attivisti di Rifondazione Comunista. Le loro sofferenze diventano più leggere grazie ai video di MTV, gli intramontabili CCCP – Fedeli alla linea, la militanza politica, Moretti, le vacanze a Ibiza, l’ascolto a tutto volume dei Verve. Ragazzi e ragazze che s’incontrano in gruppi di studio malassortiti e in luoghi cult di Catania come la “Fera ‘o luni” o il Monastero dei Benedettini. E Sofia come dice bene la quarta di copertina di questo romanzo-diario è “l’ennesimo, gradito giocattolo da distruggere. Per poi rimanere ancora una volta da solo e capire, finalmente, che no, non era bello così, non mi piaceva, vivere così. Che così dettava il bisogno derivato dall’abitudine, dalla consuetudine, di essere solo ma… non era bello, proprio no. Ho bisogno di lei, dello specchio che mi pone davanti per farmi notare la mia bellezza ma anche e soprattutto le cicatrici derivate dai miei errori”. In “Tutto quell’amore disperso”, Carlo/Luca ci racconta in prima persona del suo primo amore, di cosa significhi essere figlio unico, della fatica dello studio della “sophia” universitaria (filosofia), dell’amore per la musica soprattutto e per il cinema in un lungo memoire che ci spiega in maniera semplice come sia difficile crescere, maturare, trovare la propria strada.” 
Milena Privitera, "Pickline"

Carlo discute spesso con Sofia, in un dialogo che si trasforma in scontro fra una sinistra caparbia e vagamente marxista, e il suo qualunquismo: «la mia è davvero una generazione-Playstation» (p. 145). Discussioni che partono da pretesti ma che in realtà riflettono due personalità opposte trovatesi in una inaspettata attrazione reciproca, in una coppia mal assortita eppure in qualche modo vincente. Un amore troppo giovane, troppo inesperto. E chi non l’ha vissuto? Qualsiasi donna legga questo libro non può che trovarsi risolutamente dalla parte di Sofia, del suo vedere il mondo in bianco e nero, del suo amare così genuino, e delle lettere che scrive a Carlo; sono lettere vere, non possono che esserlo, piene di sentimento e tormenti esistenziali che tutti noi abbiamo provato. E poi perché, in questo romanzo, il vero personaggio è lei: anche se manca fisicamente in molte pagine, è lei che permea tutta la storia e che fa “crescere” – forse una volta per tutte – Carlo. 
Francesca Delli Carri, "Excursus"

Luca Raimondi mette in scena conflitti e psicomanie universali, come la condizione dei figli unici che non crescono mai. Colti dalla sindrome di Peter Pan, giocano tutta la vita ma a differenza di Peter Pan, senz’allegria ma in perfetta e malinconica solitudine. Sofia, la ragazza da cui Carlo si separa per tentare relazioni più facili con Monica, Natalie, altro non è che il riflesso del suo egocentrismo, del suo bisogno di uno specchio che possa mostrargli i graffi sul suo corpo. Con questo ritorno all’origine dei suoi problemi e alla sua natura, il protagonista ritrova la percezione del suo essere “un animale in crescita”, sublimando l’angoscia di una storia ancora tutta da scrivere nella domanda: “Che ne abbiamo fatto del nostro avvenire?”
Maria Cristina Ruggieri, "Parole a colori"

In Se avessi previsto tutto questo, l’autore sfrondava qualche luogo comune legato alla civiltà dell’immagine e ci riusciva piuttosto bene; questo non accade in Tutto quell’amore disperso, romanzo che vuol essere il più facile possibile, ricalcando così gli stilemi e le tematiche care ad autori quali Andrea De Carlo, Federico Moccia e il già citato Fabio Volo. Piras è tutto teso verso l’amore, verso quell’amore che nella sua ingenuità giovanile crede possa essere nascosto nel cuore o fra le gambe delle ragazze, siano esse nevrotiche, romantiche o no.
Tutto quell’amore disperso di Luca Raimondi è un romanzo facile, una lettura che, fuor di dubbio, non mancherà di appassionare soprattutto i giovani, che forse vorranno incontrare più da vicino la generazione degli anni Novanta, quella dei loro padri, scoprendola non troppo diversa da quella di oggi.

Giuseppe Iannozzi, "Lib(e)roLibro"

Tutto quell’amore disperso è il libro di un giovane ma promettente autore siracusano, che sa di freschezza e gioventù e si legge con serena pacatezza, in quanto morbido, sinuoso. Parliamo di Luca Raimondi, la sua ennesima fatica letteraria, filosofo prestato alle lettere, cavilloso talora e leggero al contempo. Una penna promettente, alla ricerca dell’optimum, ma di buon taglio, di facile lettura. La narrazione si articola in un continuo ansimante rimembrare, che solletica il lettore in ricorrenti flashback per animare un’intrusione nella vicenda che non risulti statica e scontata. (...) La vicenda mette in luce la tematica della famiglia nucleare, dei danni ch’essa ha arrecato soprattutto negli ultimi decenni, in cui le carenze affettive spesso venivano colmate dall’accumulo di beni materiali, che potevano offrire una gioia immediata, ma, effimera, una contentezza virtuale, che lasciava però subito spazio alla tristezza. Sofia s’innesta in questo paradosso, rappresenta un giocattolo da distruggere per ricercare quella solita solitudine, che altro non è che l’abitudine dell’essere, dell’essere solo. Stavolta nel protagonista la ricerca della solitudine, grazie a Sofia, diviene consapevolezza dell’io, comprensione che la solitudine non è realmente una cosa bella come sembrava, ma, anzi, è una semplice consuetudine. Sofia idealizzata, bisogno d’amore, è l’ennesima necessità di centralità di cui soffre ogni figlio unico. Luca Raimondi può dirsi un autore di particolare capacità di scrittura, il suo stile attuale, talora, crudo e poi, a volte, romantico, seppur moderno, lo rende concretamente leggibile ai più. In alcuni tratti, dove la penna diventa più dura, può ricordarci vagamente Carofiglio. Tutto quell’amore disperso è lo specchio di questi tempi di vuoto esistenziale.
Maria Luisa Vanacore, Informa7

L’ironia era già il registro che caratterizzava lo stile di Raimondi nel precedente romanzo: ma lì Carlo era raccontato in terza persona e il narratore sembrava divertirsi non poco a prenderlo in giro. Qui la scelta di entrare nella soggettiva di Carlo, grazie all’uso della più diaristica prima persona, rende più tenue l’ironia, i sentimenti e le inquietudini prendono spesso il sopravvento, il confronto con l’Università si fa ancora più cattivo e sarcastico (i professori sembrano essere quello che erano il Gatto e la Volpe per Pinocchio più che maestri Perboni). Lo sfortunato mondiale di Calcio del ’98, con la palla che Di Biagio stampa sulla traversa durante la lotteria dei rigori dando via libera alla Francia, è la metafora perfetta di certe sconfitte che fanno male ma che, come la storia del calcio insegna, lasciano anche il posto a possibile rivincite (come sappiamo l’Italia si rifarà nel 2006 battendo la Francia proprio ai rigori nella finale di Berlino). E Carlo proverà l’improbabile riscossa, che, come nel calcio, a volte può farsi attendere anche a lungo.
Stato Quotidiano

"Sul romanzo aleggia l'influenza dei "giovani arrabbiati" inglesi della metà del secolo scorso e della Beat Generation americana che rivendicano la libertà sessuale, l'amore per la musica rock ed il cinema; la possibilità di vivere una vita senza regole né limiti, per dirla alla Vasco Rossi "spericolata": fumo, alcol, sesso e droga. Ragazze combattute tra la morale bigotta provinciale e il desiderio di abbandonarsi a squallide avventure. La lettera mai spedita di Carlo del capitolo 13 equivale ad una dolorosa riflessione finale; si tratta di una sorta di catarsi per mettere ordine nei suoi pensieri. La sofferenza lo modella, smussa le asperità caratteriali e scompaiono in parte gli atteggiamenti arroganti che tanto hanno fatto soffrire colei che invano ripeteva "dammi del tempo".
Lina Lombardo, Ibs.it



SE AVESSI PREVISTO TUTTO QUESTO



"Luca Raimondi attinge all’autobiografia ma se ne distacca ironicamente, raccontando una generazione che pagava in lire e rimorchiava artigianalmente. Un romanzo di formazione  impastato di umorismo ma speziato di malinconia. Un’epopea quotidiana tardo-adolescenziale in cui l’amore e l’amicizia sono i valori da esaltare e (occasionalmente) tradire. La vita com’era meno di vent’anni fa, non troppo diversa da  quella di oggi."
Roberto Alajmo nel risvolto di copertina

"Raimondi se la cava con l'arma dell'ironia. Vi fa ricorso ogni volta che può, perfino in eccesso, per stemperare la consapevolezza del fallimento del suo personaggio, un vero inetto, non a caso accostato agli inetti di Italo Svevo. Ma la Trieste di Svevo è lontana nel tempo e nello spazio dalla Catania e dalla Siracusa di Raimondi-Piras. Lo scenario del giovane studente squattrinato sono pub untuosi, sale da concerto buie e affollate, aule grigie, appartamentini sovraffollati. Il suo immaginario è ingombro dell'idolatria pop di fine millennio, con tanta televisione e tanto cinema, ma in fondo vuoto al punto che perfino una lectio magistralis di Jovanotti pare un evento epocale."
Paolo Bianchi, "Libero"

"Il romanzo di Luca Raimondi è a metà tra un amarcord e un diario di bordo degli anni Novanta, una capsula del tempo che ci restituisce intatti il senso di smarrimento, di sperdimento, di inutilità che è così facile provare nel limbo tra diploma e laurea, tra l’utero protetto della città natale, di casa, della famiglia, degli amici – ma chi e cosa sono i veri amici, cos’è l’amore, quel sentimento che s’interseca a turbinii e voglie adolescenziali e non ancora adulte? Queste le domande di Carlo Piras, il nostro protagonista alle prese con la sua personale ricerca di una Weltanschauung, di una propria visione del mondo attraverso lo studio di quelle altrui, dei filosofi che ha scelto di studiare non troppo coscientemente dopo l’Alberghiero."
Maria Lucia Riccioli, "Letteratitudine"

"Una storia di forte identificazione in cui c’è sempre una partenza da affrontare, uno sradicamento nuovo che è ormai la condizione coscenziale di un’intera generazione. In questo itinerario alla ricerca di un ubi conistam che non arriva mai, è tracciato un percorso narrativo fatto di discese e risalite, sempre trovando il modo di tenere il lettore appeso al filo della narrazione."
Renato Minore su Facebook

"È esilarante la lente tragica con cui Carlo analizza ciò che lo circonda: i genitori che sembrano aver fatto apposta a non insegnarli nulla sul sesso, gli amici che sembrano essere suoi amici solo per il gusto di fargli fare brutte figure ad ogni festa, le ragazze che sembrano sempre guardarlo schifate... Una serie di “sfighe”, reali ma spesso anche solo immaginate, che lo rendono incapace di agire e ancor più insoddisfatto di sé a causa di questa sua inettitudine: «Occasioni mai sfruttate, momenti mai vissuti. Possibili amori o affetti sconfitti dalla presunzione di Carlo, arcisicuro della sconfitta prima ancora di mettere la palla al centro e dare il calcio d'inizio» (p. 168).
A rendere il disorientamento di Carlo ancor più realistico e umoristico allo stesso tempo, c’è l'inserimento di resoconti in prima persona di alcuni sogni del protagonista: componenti oniriche che fanno da testimone della psiche tormentata del povero Carlo e che svelano definitivamente le sue paranoie e i suoi desideri più sepolti nel subconscio. Il bello di questo romanzo è che, nonostante sia in sostanza il racconto della disperata ricerca di un amore, di amore nel senso romantico del termine non c'è assolutamente traccia.
Raimondi non scivola mai nello stucchevole, e d'altra parte è il personaggio stesso a richiederlo: Carlo infatti distribuisce i suoi improbabili “ti amo” come fossero caramelle, e persevera nel confondere attrazione, amicizia e sentimento, cosicché anche alla fine, di amore, avrà capito ben poco. Lo stile dell'autore a tratti riprende elementi tipici della scrittura giovanile – “licenze poetiche”, punteggiatura e sintassi personalizzata – a tratti presenta picchi di vera originalità, scivolando leggero e divertente.
La conclusione, assolutamente da non svelare, è il punto più alto del romanzo: esilarante, inaspettata, controversa e ironica; vediamo un Carlo che ha finalmente deciso di agire, non sa nemmeno lui bene il motivo e lo scopo, ma in preda a un raptus emotivo si gioca il tutto per tutto: «Carlo è a un punto cruciale della vita, in cui bisogna anche essere disposti a perdere qualcosa o qualcuno strada facendo, per tornare subito a riempire i vuoti. Un lavoro duro, ma che va portato avanti con abnegazione. Bisogna uscire dall'involucro della timidezza per cospargersi di coraggio. Bisogna imporre la propria esistenza e le proprie pulsioni, entro centri limiti che ci sono imposti o che ci autoimponiamo. Ecco, l’unico problema, stasera, è che Carlo non si è posto limiti».
L’effetto è di incredulità e gran divertimento di fronte a un epilogo né da commedia né da fiaba, ma da realtà vissuta in cui percepiamo ancor più che altrove la base autobiografica di questo romanzo."
Francesca Delli Carri, "Excursus", n. 60

"Testimonianza di una scrittura dura, corrosiva, tragicomica, agitata da un'energia balzachiana, a tratti surreale e spaesante nel suo sbigottito sbatterci in faccia le piccole mediocrità della vita".
Salvo Sequenzia, "Pentèlite, scritture letterarie di Sicilia"

"L’ambiente in cui questi “pesciolini d’acqua dolce” vorrebbero nuotare, crescendo in dimensioni e autorevolezza, è dapprima quello scolastico-domestico, poi quello universitario e quello dell’intorno piuttosto ampio della Catania di fine millennio. Carlo Piras, il protagonista, si sforza di essere sempre presente a se stesso, cercando di dominare le vicende che invece finiscono per dominare la sua vita, senza appunto riuscirci. Flavio, Tamara, Rosario, Raffaella sono allora comparse che certo attraversano le vicende esistenziali di Carlo, senza riuscire a comprenderne fino in fondo le tribolazioni."
Massimiliano Magnano, "La voce dell'isola" e "Notabilis"

"Il romanzo descrive le nevrosi adolescenziali e post-adolescenziali del suo protagonista assieme al desiderio di avere delle relazioni gratificanti, soprattutto una relazione sessuale soddisfacente e duratura. Ma tutto sembra remare contro il ragazzo. Tutti i tentativi di conquistare le ragazze rivelano la sua inadeguatezza alla vita. È scorrendo le pagine di questo libro che ci si accorge allora che il riferimento nel titolo della “ricerca d’amore” – salvo l’epilogo caratterizzato da toni più sentimentali – appare semmai orientato più verso una ricerca di amore carnale. Se avessi previsto tutto questo (attinta sotto alcuni aspetti dalla autobiografia di Raimondi)si presenta infatti a mo’ di epopea quotidiana tardo – adolescenziale in cui l’amore e l’amicizia sono i veri valori da esaltare; un romanzo di formazione impastato di umorismo e speziato di malinconia, costruito in gran parte da una successione teatrale di dialoghi e brevi botta e risposta, mentre, in altri momenti, appare evidente il desiderio dell’autore di esprimere tutta la complessità delle elucubrazioni post adolescenziali, ricorrendo a sovrabbondanti aggettivi e numerose descrizioni degli stati d’animo del protagonista quasi da erigerlo a simbolo della vita di vent’anni fa che, alla fine, a pensarci bene, non è poi tanto diversa da quella di oggi." 
Carla Iannacone, "Leggere:tutti"


“Se avessi previsto tutto questo” è romanzo con una trama magari esile, costruito in gran parte mediante una successione molto teatrale di dialoghi e brevi botta e risposta privi di invadenti descrizioni da parte dell’autore; mentre in altri momenti l’evidente desiderio di Raimondi di esprimere tutta la complessità delle elucubrazioni post adolescenziali rischia di rendere un po’ sovrabbondanti di aggettivi e barocche le descrizioni degli stati d’animo e degli incubi del protagonista. Sicuramente, nella loro ironia, più efficaci e spontanei i dialoghi tra studenti allupati rispetto agli intermezzi onirici di Piras. Elementi che però non mi pare mettano in ombra la sostanziale leggerezza dell’opera e i frequenti spunti umoristici (efficace l’incontro col micidiale e sprezzante barone universitario) che evitano  il rischio di eccessivo sentimentalismo e quello di prendersi troppo sul serio. Lo dimostra la stessa conclusione del romanzo, con Piras che è vero, dopo pagine e pagine da apatico allupato, ci appare vincente nella sua ricerca di una stabile compagnia femminile, ma grazie ad un piccolo tradimento ed alla disponibilità di una traditrice. Non ci stupiremo di incontrare nuovamente Carlo Piras tra le righe di un altro romanzo, magari più cresciuto e finalmente don Giovanni autentico." 
Luca Menichetti, "Lankelot"


"In una Sicilia palpitante di umori gli anni Novanta scoloriranno presto nell’alba del Duemila, mentre la radio passa “Amore di plastica” di Carmen Consoli. È lo sfondo, con una patina di nostalgia, di “Se avessi previsto tutto questo” (Ed. Il Foglio) di Luca Raimondi, scrittore siciliano già autore di diversi romanzi.  Sotto il cielo dei suoi stessi sogni, Carlo Piras, aspirante romanziere, da buon diciottenne naviga nei suoi giorni fatti di studio, amici e qualche palpito, fino ad un epilogo meno tragicomico e più romantico. Il libro, imperlato di chicche musicali, esibisce una lingua grossolana senza ricercatezze letterarie. Si gioca tutto sulla storia che si snoda tra i dialoghi per raccontare le esperienze di una generazione di passaggio"
Marina Bisogno, "Corriere nazionale"

La parte migliore del romanzo è data dalla poetica della nostalgia, onnipresente e trasversale nella scrittura di questo inizio millennio, dove tutto finisce troppo in fretta e la paura di perdere quel poco che abbiamo avuto o siamo stati accomuna giovani e vecchi. Mentre la vita ancora ha da prender forma, la nostalgia, la bestia che ci azzanna e non ci molla mai, è già in agguato.
Patrizia Poli, signoradeifiltri.blog

"Si potrebbe tentare l’azzardo e dire che Se avessi previsto tutto questo è romanzo che ricalca alcune tematiche care al primo Andrea De Carlo, a Federico Moccia e al primissimo Giuseppe Culicchia, o anche a Claudio Baglioni con il suo romanzo Q.P.G.A., ma si farebbe torto all’autore, perché Luca Raimondi, a differenza dei sopracitati autori, non si limita a raccontare la ricerca spasmodica dell’amore, investe infatti molto di sé nell’evidenziare l’inutile sostanzialità della civiltà dell’immagine raccontando così uno spicchio di Storia italiana, quella degli anni Novanta. Se avessi previsto tutto questo di Luca Raimondi è dunque un romanzo a trecentosessanta gradi e non un mero lavoro giovanilistico."
Giuseppe Iannozzi sul suo blog http://iannozzigiuseppe.wordpress.com 

"Quest'ultimo romanzo sembra essere ben apprezzato per la sua linearità stilistica e perché racconta aspetti semplici, forse banali, ma veri della vita di ognuno di noi, che una volta diventati adulti, o pseudo tali, preferiamo dimenticare per non essere considerati sfigati".
Mascia Quadarella, "Reporter"

"Un linguaggio fluido per un racconto ricco di episodi divertenti, intrisi di malinconia, che a volte scivolano nell'umorismo. Ma ha una funzione preponderante nella trama stessa del libro, il connubio tra musica e letteratura. I brani musicali citati ripetutamente in momenti salienti del romanzo, marcano con forza la simbiotica convivenza tra musica e sentimento ed ancora tra musica e tempo. In altre parole il linguaggio universale delle note quale mezzo di comunicazione che s'intreccia con la lingua parlata per esprimere emozioni, ma non solo, perché grazie alla musica l'autore è stato capace di calarci negli anni che non sono quelli attuali."
Silvana Baracchi, "Zeronove.tv"


"Una storia di formazione sentimentale situata in uno scenario sicuramente autobiografico (in quegli stessi anni Raimondi frequentava la facoltà di Filosofia, la stessa che frequenta Carlo) che per alcuni aspetti ricorda altre narrazioni italiane (Brizzi, Culicchia, De Carlo) e americane (Salinger, Ellis, Fante) ma che propone un’ambientazione finora poco sfruttata come quella fornita dall’ateneo catanese e una collocazione temporale che spicca proprio nel contrasto con le assai mutate modalità di incontro e di conoscenza dei giovani di oggi. L’amore prima delle chat e di Facebook, insomma, e prima che le tastiere dei cellulari (allora non ancora così universalmente diffusi) venissero consumate dagli sms: colmarne l’assenza, per alcuni soggetti come Carlo, profondamente insicuri e dalla personalità ancora in divenire, diventa una sfida impervia, ricca però di episodi divertenti, malinconici, quando non addirittura grotteschi."
Federico Masci, "Giornalesiracusa.com"




MARENIGMA



“Potremmo definire questo romanzo di Raimondi “thriller psicologico”, come è stato fatto, oppure “noir metafisico”. Un viaggio in quel “cuore di tenebra”, insomma, che è l’animo di persone che, crescendo e affrontando un difficile passaggio della propria esistenza, realizzano di essere come gusci di noce in balia di potenti flutti che si originano in un luogo sconosciuto” 
Eraldo Baldini, prefazione al volume

“La black novel non è “sottoletteratura”. In qualche maniera Luca Raimondi sfata un preambolo ingiusto che ha deciso, per lungo tempo, su una diversificazione in blocco: la retrovia di una certa tradizione dedita a effetti spettacolari, splatter e roba così, da una parte; dall’altra un fronte alto e nobile fatto di narratori, preferibilmente non di genere” 
Veronica Tomassini, “La Sicilia”

"La formazione filosofica di Raimondi lo ha portato a prediligere gli stilemi del racconto dell’orrore per raccontare una storia che porta degli adolescenti, in gita nell’atipico scenario invernale della località balneare di Fontane Bianche, a confrontarsi con il mistero della natura, dell’ignoto, di Dio e dei propri nodi esistenziali irrisolti. Una villa vicino ad una spiaggia diventa quindi il teatro di una serie di inspiegabili eventi che hanno ripercussioni diverse su personalità esemplari: c’è l’intellettuale, la secchiona, la "ragazza facile", il bullo, il timido, dieci caratteri apparentemente banali che invece nascondono ognuno un particolare stato psicologico che è forse innanzitutto paura del futuro, ma anche di un presente contraddistinto dalla mediocrità, dall’ignoranza, dal vuoto e dall’angoscia di vivere."
Mariolina Lo Bello, "La Sicilia"

"La storia di un gruppo di studenti delle superiori che come mossi da una forza superiore all’inizio del quinto, fatidico anno decidono di passare un fine settimana autunnale in riva al mare, nella villetta posseduta da uno di loro; e in una località, Fontane Bianche, che “vive” solo per tre-quattro mesi e durante il grande letargo dei vacanzieri sembra rintanarsi in un diverso, cupo e pericoloso piano dell’esistenza. Cosa smuove e controlla questi ragazzi, quale forza arcana? Forse la paura di crescere, alcuni nodi irrisolti del loro passato, l’ansia per un futuro nebuloso? In tutti i casi si tratterà di un’esperienza a dir poco inquietante, condita da delitti e misteriose sparizioni evocati dal respiro grave e poco rassicurante, dagli oscuri richiami del mare in tempesta"
Angelo Orlando Meloni, rubrica "Libridine", in "Siracusanews.it"





NIENT’ALTRO CHE UN SOGNO




Nella “Trilogia”, l’affabulazione prevale sul raziocinio, i colori sulle parole, la gioia sul dolore: è un altro Pasolini, a quello di prima e a quello ultimo inestricabilmente legato, ma qui felicemente coincidente in se stesso, di là dagli sbalzi di umore e di tenuta narrativa. Raimondi vi si è calato con candore smaliziato, con gusto del vedere e del raccontare; e ce ne restituisce un’immagine che, tra le mille proposteci in questi anni, non è la meno convincente. E poi, da narratore, ha cercato di farcela amare nell’impianto della sua scrittura. Il libro è utile, e farà senza dubbio riflettere: proprio perché si lascerà leggere nella sua forma piana, dove i problemi hanno fatto in tempo a trasformarsi in cose, in parole.

Fernando Gioviale, prefazione al volume



“Un’indagine accurata – costata dodici mesi di ricerche bibliografiche – sulla produzione cinematografica del poeta “scomodo ed essenziale”. Un percorso a ritroso da cui, passo dopo passo, affiorano particolari inediti sul conto di un ribelle della letteratura italiana." 

Mascia Quadarella, “La Sicilia”



"Un Pasolini accessibile non a tutti – come egli stesso asseriva in alcune interviste – diventa, grazie al giovane Raimondi, quanto meno avvicinabile. Leggendo il libro viene la voglia di tornare a vedere tutti i film del grande regista, sceneggiatore, poeta, attore nel pieno senso di colui che coraggiosamente in tutta la sua vita ha agito senza lasciarsi agire mai”


Veronica Meddi, “Le Rimesse”





CUORE DEL VUOTO (1998)


“Una lettura piacevole fino alla fine” 
Calogero Pulvino, “Dialettica risorgimentale e altri scritti”

“Brillante oltre ogni aspettativa”
Luigi Amato, in “I siracusani” e in “Piè di pagina”

“Circa centoquaranta pagine per illuminare con tratti lenti e impietosi una galleria di sconfitti i quali non intravedono che la speranza della mera sopravvivenza” 
Graziella Ambrogio, “La Sicilia”

“Un esperimento letterario dagli esiti assai interessanti. E controcorrente, direi, per quel suo procedere piano, passo passo… qualcosa di veramente nuovo, tutto da decifrare e catalogare” 
Matteo Collura, lettera privata

“Raimondo e Luca Raimondi si sono uniti per affrontare la strana morte di Elio Van Voot, artista informale nonché deus caduto dalla machina, in questo thriller anomalo. Il risultato è felice per i due autori e lo sarà anche per i lettori”
Andrea G. Pinketts, prefazione al volume

Qual è la formula di una così ben riuscita creazione a quattro mani? Gli ingredienti per un buon giallo ci sono tutti, ma la nota più suggestiva sta nel perfetto intreccio di atmosfere, di sapori, di sensibilità, di culture, distanziate da più di un quarto di secolo di esperienze diverse. Apprezzare in pieno questo romanzo non è difficile. E’ sufficiente non cadere nell’errore in cui cade il protagonista: quanto di ciò che osserviamo ogni giorno dalla finestra è reale al di là dell’apparenza?”
Daniele Scirpo, “AltraCultura”


CERNIERA LAMPO (1996; 2a edizione 2016)


“Un romanzo che fa sorridere e riflettere” 
Giuseppe Culicchia

“Raimondi e Schittino danno vita ad una galleria di personaggi accattivanti e veritieri.”
Annalisa Stancanelli, “La Sicilia”

"È una storia tragica e si preannuncia tale fin dall’inizio: lo si percepisce già dal primo capitolo. Teo e Dino, pur senza parlarsi mai, confluiscono lentamente nella stessa vicenda che il lettore osserva impotente dall’alto. A fare da collante fra le vite parallele dei due ragazzi c’è la professoressa Lara Cuisi, odiata e ammirata dagli studenti, e il marito Gianfranco, il personaggio forse più riuscito del romanzo. Gianfranco Perdigoni è un presunto scrittore, e per di più uno scrittore che si atteggia a postmoderno imitando la scrittura dei giovani di strada e infarcendo le sue pagine di torbidi dettagli. Disprezzato da tutti, Gianfranco si barcamena nell’attività letteraria senza riuscire a guadagnarci molto se non il biasimo anche della moglie. Sta ai bordi della storia – e della vita – per quasi l’interezza del romanzo, ed è solo alla fine che vi si inserisce con la prepotenza e con l’inadeguatezza che lo contraddistinguono. È a lui, infatti, che Teo decide di chiedere un parere sul suo trattato sul trombone, pensando ingenuamente di avere di fronte un grande uomo di lettere. Qualche giorno prima, a solo qualche chilometro di distanza, il torbido dei racconti di Gianfranco cala nella quotidianità e diventa realtà, cambiando per sempre le vite di Lara e Dino. I due avvenimenti sommati insieme, quasi come in una commedia degli errori rinascimentale, collassano verso il finale fluido, inevitabile, surreale."
Francesca Delli Carri, "Excursus" n. 78, dicembre 2016.

"Pur scritto a metà degli anni ’90, non solo conserva tutto il furor adolescenziale di chi l’ha vissuto prima che scriverlo, lasciandoci un ritratto inedito di quegli anni, ma anche suggerisce spunti di attualità, nel ritrarre l’eterno conflitto genitori-figli; giovani-adulti; insegnanti-alunni; nelle cui pieghe, potranno rispecchiarsi in tutto o in parte tanto gli adolescenti di ieri quanto quelli, forse, più “spaesati” di oggi."
Salvatore Greco

“Una galleria veramente gustosa della popolazione scolastica, vagliata da due autori che vivono quotidianamente la scuola con i suoi disagi” 
Alessandro Quasimodo e Danilo Ruocco, prefazione alla prima edizione

“Insolito risultato letterario di una sinergica collaborazione siracusana”
Veronica Tomassini, “La Sicilia”

“Fresco e veloce, di piacevole lettura, a tratti rivela l’inesperienza degli autori; questo fatto, lungi dall’abbassare il tono, gli conferisce un piacevole tocco di ingenuità”
Luigi Amato, “AltraCultura”

“Molto piacevole” 
Carlo Lucarelli, lettera privata all’autore

“Un romanzo quasi pornografico ma molto interessante…”
Joe Schittino, intervista rilasciata a Seby Spicuglia, “L’isola dei cani”

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