Giuseppe Culicchia a proposito di "Cerniera lampo"

"Un romanzo che fa sorridere e riflettere"

Gianluca Morozzi a proposito di "Tutto quell'amore disperso"

"Un perfetto, equilibrato mix di musica di classe e donne complicate"

Renato Minore a proposito di "Se avessi previsto tutto questo"

"Una storia di forte identificazione in cui c’è sempre una partenza da affrontare, uno sradicamento nuovo che è ormai la condizione coscenziale di un’intera generazione."

martedì 6 gennaio 2015

IL PRIMO CAPITOLO DI "TUTTO QUELL'AMORE DISPERSO": LA MORTE DEI MIRACOLI

Cara Sofia, l’assurda domanda che vorrei rivolgerti, in questo torrido mezzogiorno dell’estate 1998, è la seguente: che ne abbiamo fatto del nostro avvenire? 
Da qualche metro a questa parte ho cominciato a pentirmi di aver intrapreso con la mia bicicletta la via della frazione balneare di Fontane Bianche, in provincia di Siracusa, la città in cui vivo quando non frequento l’Università di Catania.
Procedo veloce. Il mio è un tentativo di vincere il torpore delle vacanze e la noia del mio forzato soggiorno nella graziosa villetta sul mare presa in affitto dai miei genitori. Vacanze poco serene, le mie, ché sono ossessionato dagli esami di settembre. 
Non ho altro sogno che laurearmi e farla finita con l’Università. Mi attendono un pezzo di carta, un titolo di dottore, un incerto futuro da professore. Ma è ancora presto per queste previsioni; e non è necessariamente un male, forse ho ancora tempo per cercare di vivere nel mondo accademico con la convinzione di trovarmi negli anni più belli della mia vita. 
L’aria mi colpisce in faccia e mi asciuga il sudore, ma soltanto per pochi attimi: basta una pedalata profonda e potente per inzuppare di nuovo la t-shirt. 
Forse facevo meglio a starmene a casa, steso sul divano a riascoltare ancora il cd capolavoro di Frankie Hi-Nrg La morte dei miracoli
Purtroppo miracoli non ne so fare, per giunta pare non sia più possibile farne, a sentire Frankie, eppure ce ne vorrebbe uno, in questo momento, un miracolo che desidero come nient’altro al mondo, ma i miracoli li fanno – forse – i santi e io non sono certo un santo, non ho un’aureola in testa – solo una lieve cefalea, chiaro sintomo di un imminente colpo di calore. 
Forse sto esagerando, sto volendo andare troppo oltre i miei limiti fisici per spingere la mountain bike nell’alternarsi di faticose salite e di comode discese – facile scorgere in questo una metafora dell’andazzo dei miei ultimi mesi, un’analogia servita su un piatto d’argento, elementare come una rima cuore/amore. 
L’inquieta energia che agita la superficie del mare mi risveglia la volontà di trovare calma e pace e serenità. Anche per smettere di correre serve energia, occorre frenare con forza per non incorrere in un impatto letale con qualche pirata della strada che sbuca da una traversa. 
 Mi fermo, prendo fiato. Provo a respirare piano, ma il cuore va veloce. Il mio, poi, è ormai da tempo fuori giri. 
E ripeto a me stesso ciò di cui ho davvero bisogno. 
Calma. Pace. Serenità. Sedare l’anima, vivere come se non si dovesse mai morire. 
Che cazzate post-new age, avrei detto, quando nel salotto di Natalie giocavo a fare l’aspirante filosofo tormentato-nichilista e lei faceva da contraltare con la sua solarità, posticcia come i baffi sul volto di Charlot. Anche lei giocava, giocava a essere il contrario di se stessa, sì, proprio come me. 
Ecco, cara Sofia, prova a immaginare un mezzogiorno d’estate torrido come questo, in cui io sconfiggo la mia apparente tenebrosità per sorridere al vento come un babbione ottimista, e non c’è sudore in cui possa annegare, invincibile di un’invincibilità forse a tempo limitato, ma non per questo meno satura di colori ed emozionanti prospettive: almeno quelle, a tempo indeterminato. Perché nulla è scritto e tutto può andare bene e può andare male, ma ci sono momenti – e questo è uno – in cui credo con l’intensità di un fanatico religioso che tutto andrà bene, anche se non andrà proprio come avevo sperato. 
Ecco, metti un mezzogiorno d’estate torrido e bollente, in cui la bicicletta scorre come i pensieri sopra un asfalto morbido e liscio. Ogni tanto m’imbatto in una buca e per poco la bicicletta non sfugge al controllo e i pensieri volano via al di là di un guardrail, spiaccicandosi chissà dove. Perché non c’è filosofia che non muoia con il suo filosofo. Il filosofo! Buono, quello: capace di rimangiarsi i pensieri d’una vita un attimo prima di spirare. E a che serve la bibliografia dei suoi libri, percorso di un pensiero che infine muore o contraddetto, e quindi inutile, o uguale alle sue origini, e quindi sterile? 
Le mie considerazioni forse sono stronzate, eppure mi riempiono la mente e mi permettono di non curarmi della fatica del pedalare e di quell’angoscia che mi procura il vuoto che avverto abissale davanti a me, in quell’avvenire che sembra essermi sfuggito insieme a te, mia cara Sofia. 

In questo torrido mezzogiorno d’estate transito davanti a una via che porta dritta alla spiaggia. Disposte a caso, figlie dell’abusivismo selvaggio di anni or sono, mi circondano alcune villette dalle architetture un po’ pretenziose. Come chi vi trascorre l’estate. Tra gli altri: Sofia e la sua famiglia. 
Non ci sono mai stato, ma riesco comunque a individuare villa Crodaro, grazie alle mie reminiscenze delle sommarie descrizioni di Sofia e alle domande che rivolgo agli indigeni trafficanti con pompe d’acqua davanti alle proprie siepi. 
Il cancello è accostato. Penetro dentro la proprietà con il fare sospetto di un ladro. Appoggio la mia bicicletta a un pino. La madre di Sofia è intenta anche lei a innaffiare le piante. Quando mi vede rimane incerta sul da farsi: se accogliermi calorosamente o con la freddezza che la figlia le imporrebbe di usare. Rimane sui binari di una collaudata cortesia. Ma non è per la matura mammina della mia ex fidanzata che mi trovo qui. 
Sono qui perché ho trovato la mia strada e ne sono così sicuro che mi sento imbecille: mi capita sempre, quando smetto di barcamenarmi in quei dubbi che stimolano l’indagine filosofica ma che spesso paralizzano l’azione. 
Esistono momenti in cui gli aspiranti filosofi devono smettere di speculare per cominciare a darsi da fare. E questo è uno di quei momenti. 
– Dov’è Sofia? – chiedo.

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