Il professore Salvatore Greco (nella foto) il 22 ottobre ha introdotto il romanzo "Cerniera lampo" in occasione dell'XI Memorial Mariano Ventimiglia di Paternò. Mi ha fatto pervenire i suoi appunti, che molto volentieri pubblico qui di seguito.
"Cerniera lampo di Luca Raimondi e Joe Schittino,
pubblicato per la prima volta nel 1996, si inserisce pienamente nel filone del
cosiddetto romanzo di formazione, il “Bildungsroman” che
ha nel Goethe de I dolori del giovane
Werther, un illustre antesignano del genere, nel quale il protagonista –
“eroe”, adolescente o, comunque giovanissimo - attraverso una serie di
peripezie, viene “iniziato” all’età adulta. Non è un caso, per la verità, che
risenta, soprattutto nella prima acerba versione, della freschezza
dell’adolescenza degli autori, allora studenti alle scuole superiori, e
dell’eco di romanzi usciti poco prima, tra i quali, Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi e Tutti giù per terra di Giuseppe
Culicchia, entrambi del 1994. Con questi condivide, senz’altro, non soltanto il
fatto di appartenere alla stessa categoria di romanzo, ma soprattutto, l’avere
posto l’accento sul tema complesso, forse, un po' sbrigativamente etichettato,
in chiave pedagogica, o sociologica, del cosiddetto “disagio giovanile”. I
protagonisti sono due, Teo e il suo “alter ego” Dino, entrambi compagni di una
classe quinta di un istituto alberghiero della provincia siciliana,
segnatamente “Ortygia”, cioè Siracusa. Teo è spesso voce narrante e narratore
interno, oltre che protagonista e Dino non è solo il suo “braccio destro”, ma
spesso, per i ruoli che i due rivestono nell’intreccio, è a tutti gli effetti,
il coprotagonista. Teo è l’intellettuale, Dino, il giovane in cerca di una
propria identità: come molti adolescenti sono ritratti, “in presa diretta”,
nella scuola “Timoleonte”, spesso, spaesati e disorientati per il comportamento
tanto dei coetanei quanto, soprattutto, degli adulti, distanti per motivi
generazionali e drammaticamente assenti o, comunque, lontani anni luce dal loro
mondo. Da qui la querelle, tutta ideologica, ritratta in chiave ironica, che
sfuma nel grottesco, come spesso accade in altre scene del romanzo, tra Italo
Armicula e il figlio Dino, l’uno neofascista e nostalgico convinto, l’altro in
cerca della propria identità anche attraverso certi rituali “vetero-marxisti”,
ma gli anni ’70 sono lontani e la loro ottica, in particolare, quella di Italo,
appare perciò tanto più straniata e grottesca nell’epoca della fine delle
ideologie e di quello che era stato definito “il tramonto della Storia”. E,
tuttavia, è proprio Dino ad essere protagonista di uno degli episodi più
esilaranti di tutto il romanzo, anche se con risvolti paradossali, nel quale ha
a che fare molto da vicino con la professoressa di Storia dell’Arte, Lara
Cuisi, forse, l’unico personaggio positivo tra i docenti, tutti visti “dal
basso”, cioè dal punto di vista del duo Teo/Dino, che non lesinano certo uno
sguardo impietoso, anche a questi ultimi.
Lara Cuisi è una donna che, nel privato, vive con disagio il suo ventennale rapporto di coppia con Gianfranco Perdigoni, un “perdigiorno”, che ha rinunciato a una carriera nell’Arma dei carabinieri per inseguire un’improbabile quanto infruttuosa carriera di aspirante scrittore. Egli è soltanto un altro simbolo dell’alienato mondo degli adulti. Molteplici sono, dunque, i temi del romanzo e per questo non lo si può etichettare come “romanzo del disagio giovanile” o della “crisi” esistenziale, ideologico-politica, sociale, che il postmoderno ha inaugurato già da tempo nella nostra letteratura. Vi si legge, sempre secondo uno stile ironico e grottesco, quando non di aperta e lucida satira, ingredienti che, tra l’altro, ne rendono godibile la lettura, una denuncia sottile e comunque pacata del mondo degli adulti. Un mondo che in primis Teo, condirettore del giornale del “Timoleonte” ed anche musicista in erba, vede come privo di modelli cui identificarsi o da seguire tanto in famiglia quanto a scuola. Da qui i giudizi sempre taglienti che, spesso, condivide con l’amico Dino sia sui propri insegnanti sia sulla religione. Vi si leggono, infatti, espressioni del tipo: “La nostra schiera di docenti è talmente convenzionale che forse neanche fra trenta millenni permetteranno agli studenti di riferirsi ai grandi autori con leggerezza o ad alzarsi in piedi sui banchi per urlare – ‘Capitano, mio Capitano…’, oppure: “Se un Dio esiste, è un pigro che dorme tutto il giorno” e ancora: “Dio è un idraulico che dorme impassibile accanto alle sue chiavi inglesi”. E, tuttavia, non è solo la dissacrazione grottesca la cifra e la chiave di lettura del romanzo. Teo, soprattutto, ma anche Dino come tanti adolescenti in carne ed ossa, ha bisogno di sentirsi accettato, compreso, gratificato dagli adulti e questo accade, ma solo sporadicamente e solo in parte, per esempio, con la zia Carmela, vista come una sorta di “rifugio” temporaneo alle sue incomprensioni familiari, o con il decano del corpo bandistico di Ortygia e, soprattutto, con la professoressa Cuisi. In queste e in tante altre scene, si trovano anche parecchie citazioni sia musicali (su tutti gli U2 e gli Everything but the girl) sia cinematografici (su tutti “L’attimo fuggente”, film “cult” già per la generazione di poco precedente a quella degli autori) e, non ultimo, la predilezione per la cinematografia e le sue tecniche, come anche per la musica operistica, riferimenti, non troppo velati, alle passioni e ambiti professionali, rispettivamente di Raimondi e Schittino. Tra l’altro Cerniera lampo, retrospettivamente, a distanza di venti anni dalla prima uscita, diventa non solo l’opera prima di Luca Raimondi, ma anche il precedente narrativo dei suoi ultimi romanzi Se avessi previsto tutto questo e Tutto quell’amore disperso. Anche per questo, pur scritto a metà degli anni ’90, non solo conserva tutto il furor adolescenziale di chi l’ha vissuto prima che scriverlo, lasciandoci un ritratto inedito di quegli anni, ma anche suggerisce spunti di attualità, nel ritrarre l’eterno conflitto genitori-figli; giovani-adulti; insegnanti-alunni; nelle cui pieghe, potranno rispecchiarsi in tutto o in parte tanto gli adolescenti di ieri quanto quelli, forse, più “spaesati” di oggi."
Lara Cuisi è una donna che, nel privato, vive con disagio il suo ventennale rapporto di coppia con Gianfranco Perdigoni, un “perdigiorno”, che ha rinunciato a una carriera nell’Arma dei carabinieri per inseguire un’improbabile quanto infruttuosa carriera di aspirante scrittore. Egli è soltanto un altro simbolo dell’alienato mondo degli adulti. Molteplici sono, dunque, i temi del romanzo e per questo non lo si può etichettare come “romanzo del disagio giovanile” o della “crisi” esistenziale, ideologico-politica, sociale, che il postmoderno ha inaugurato già da tempo nella nostra letteratura. Vi si legge, sempre secondo uno stile ironico e grottesco, quando non di aperta e lucida satira, ingredienti che, tra l’altro, ne rendono godibile la lettura, una denuncia sottile e comunque pacata del mondo degli adulti. Un mondo che in primis Teo, condirettore del giornale del “Timoleonte” ed anche musicista in erba, vede come privo di modelli cui identificarsi o da seguire tanto in famiglia quanto a scuola. Da qui i giudizi sempre taglienti che, spesso, condivide con l’amico Dino sia sui propri insegnanti sia sulla religione. Vi si leggono, infatti, espressioni del tipo: “La nostra schiera di docenti è talmente convenzionale che forse neanche fra trenta millenni permetteranno agli studenti di riferirsi ai grandi autori con leggerezza o ad alzarsi in piedi sui banchi per urlare – ‘Capitano, mio Capitano…’, oppure: “Se un Dio esiste, è un pigro che dorme tutto il giorno” e ancora: “Dio è un idraulico che dorme impassibile accanto alle sue chiavi inglesi”. E, tuttavia, non è solo la dissacrazione grottesca la cifra e la chiave di lettura del romanzo. Teo, soprattutto, ma anche Dino come tanti adolescenti in carne ed ossa, ha bisogno di sentirsi accettato, compreso, gratificato dagli adulti e questo accade, ma solo sporadicamente e solo in parte, per esempio, con la zia Carmela, vista come una sorta di “rifugio” temporaneo alle sue incomprensioni familiari, o con il decano del corpo bandistico di Ortygia e, soprattutto, con la professoressa Cuisi. In queste e in tante altre scene, si trovano anche parecchie citazioni sia musicali (su tutti gli U2 e gli Everything but the girl) sia cinematografici (su tutti “L’attimo fuggente”, film “cult” già per la generazione di poco precedente a quella degli autori) e, non ultimo, la predilezione per la cinematografia e le sue tecniche, come anche per la musica operistica, riferimenti, non troppo velati, alle passioni e ambiti professionali, rispettivamente di Raimondi e Schittino. Tra l’altro Cerniera lampo, retrospettivamente, a distanza di venti anni dalla prima uscita, diventa non solo l’opera prima di Luca Raimondi, ma anche il precedente narrativo dei suoi ultimi romanzi Se avessi previsto tutto questo e Tutto quell’amore disperso. Anche per questo, pur scritto a metà degli anni ’90, non solo conserva tutto il furor adolescenziale di chi l’ha vissuto prima che scriverlo, lasciandoci un ritratto inedito di quegli anni, ma anche suggerisce spunti di attualità, nel ritrarre l’eterno conflitto genitori-figli; giovani-adulti; insegnanti-alunni; nelle cui pieghe, potranno rispecchiarsi in tutto o in parte tanto gli adolescenti di ieri quanto quelli, forse, più “spaesati” di oggi."
SALVATORE GRECO
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